Sono nato a Tirana nel 1980 e a 18 anni mi sono trasferito in Italia, a Torino, per studiare all’università. Ho deciso di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo piemontese, mi sono sposato e ho un figlio.

Benko Gjata

Sono anche giornalista, esperto di turismo culturale e tra i fondatori del Centro di Cultura Albanese a Torino, una delle più importanti realtà associative della diaspora albanese italiana, del quale oggi sono il direttore.

Sono nato in un contesto privilegiato, vivevamo in un appartamento in centro a Tirana, a pochi metri da piazza Scanderberg, i miei genitori erano degli intellettuali ed ho frequentato le migliori scuole del paese. Nella mia vita ci sono due momenti distinti: prima e dopo il 1991.

Benko Gjata

Prima del 1991 l’ Albania era chiusa al mondo e la vita era scandita e regolamentata. L’ho vissuta da bambino e ragazzo e non ricordo tanto la parte di privazione delle libertà, quanto la vita serena, nonostante le difficoltà materiali, con grandi cortili e tanti bambini a giocare insieme.

Poi viene abbattuto il muro di Berlino, cade Chaucescu in Romania e d’improvviso cambia tutto: lo stato che prima garantiva l’ordine sociale fa sempre più fatica a tenere il Paese, sbarcare il lunario diventa più difficile e svaniscono tutti i punti di riferimento che avevamo in precedenza.

Viene introdotto un nuovo sistema di misurazione valoriale che è il denaro, che prima non esisteva, e il più forte diventa il più ricco, non il più intelligente o il più capace. Improvvisamente abbiamo acquisito la libertà individuale, di culto, economica, di mercato, con grandi aspettative per il futuro, tanto fermento, ma senza coordinamento da parte di un’entità governativa.

Benko Gjata

E la latitanza dello stato si ripercuoteva nella vita quotidiana: nasce la microcriminalità e pian piano l’Albania diventa un paese tosto in cui vivere, soprattutto per noi ragazzini. Nel 1997 poi crollano le piramidali finanziarie e le famiglie perdono i loro risparmi.

Il paese è completamente fuori controllo, ormai si rischia la vita, i ragazzini sparano per strada con i kalashnikov e in un anno muoiono 3000 persone, come in una guerra. Decido allora con il benestare dei miei genitori di partire, e con me parte tutta la mia generazione: Italia, Svizzera, Francia, Olanda, Danimarca, Stati Uniti, Australia. Una diaspora che continua ancora oggi.

Benko Gjata

Vengo a Torino con un visto per studio, mi iscrivo all’università, nel frattempo lavoro per mantenermi, e predo la laurea. Mi sposo, nasce mio figlio e oggi sono responsabile commerciale per la Wall Street English nell’area del torinese.

Ogni tanto ho il pensiero di tornare in Albania, dove avrei la possibilità di lavorare nel mio settore, ma poi mi ricredo: non è facile dopo tanti anni tornare, vorrebbe dire ricominciare da capo, ricrearsi le reti sociali e professionali, e poi penso che a Torino mio figlio potrà avere un futuro migliore, e forse non dovrà un giorno partire anche lui.

Ma il sogno dell’Albania rimane, è una fiamma che non si spegne mai.

L’apporto degli stranieri in qualsiasi paese è sempre positivo e penso che sia folle fare rumore su questo tema nascondendone i benefici. Il processo va governato, ma che sia positivo in termini di novità e competenze non si discute.

L’Europa oggi ha bisogno di un innesto di persone che spingano verso il futuro non solo per i loro interessi personali ma per tutta l’Unione. Gli albanesi hanno creato un sacco di PIL in Italia e parallelamente hanno rimesso in piedi il loro paese con le rimesse.

Benko Gjata

Ogni anno da Torino partono 10 milioni di euro per l’Albania che permettono a chi è rimasto di investire, non emigrare, non fuggire all’estero. Oggi anche grazie alle rimesse dal mondo l’Albania non è più una spina nel fianco dell’Ue ma può essere un partner.